Rublev, S. Sergio di Radonez e la Santa Trinità
Chi era Andrej Rublev, “santo iconografo” dell’Ortodossia, le cui vicende biografiche rimangono ancora, per certi aspetti, misteriose? Che cosa ha rappresentato per la fede e la cultura della Russia la sua testimonianza?
Andrej Rublev è l’autore dell’icona russa più famosa al mondo, la celebre “Trinità dell’Antico Testamento”, oggi conservata alla Galleria Tret’jakov di Mosca; icona della Trinità riprodotta in quasi tutte le opere che trattano di Ortodossia o di cultura russa. Ed oggi, grazie all’immenso lavoro di restauratori russi, conosciamo molte altre pitture di Rublëv.
L’uomo Rublev rimane molto nascosto. Non si conosce dove è nato e la sua nascita viene collocata approssimativamente tra il 1360 e il 1370. Si sa che, a Mosca, fu monaco al monastero Sant’Andronico.
L’inizio della sua attività è legato al primo sviluppo del monastero della Trinità, fondato da San Sergio di Radonez. Sicuramente, fece il suo apprendistato nel laboratorio di icone di quel monastero, perché spesso infatti viene citato col soprannome “l’iconografo di Radonez”.
I “Racconti sui santi iconografi”riferiscono: “il santo Padre Andrej di Radonez, iconografo, di cognome Rublëv, dipinge un gran numero di icone, tutte miracolose…”.
Rublëv visse in un’epoca tumultuosa della storia russa. La vittoria sui Tartari, nel 1380, a Koulikovo, aveva esaltato le forze del popolo russo che ora poteva sperare sulla liberazione definitiva. Fu quella l’epoca di un grande sviluppo della coscienza nazionale e del decisivo progresso dell’unità attorno a Mosca. Fu anche il tempo dell’età aurea della santità russa, il momento in cui il monachesimo, in tutte le sue forme, conobbe una splendida rinascita, in cui la cultura e l’arte si diffusero attorno ai monasteri.
Ma fu anche l’epoca di san Sergio di Radonez, perché illuminata realmente dalla santità particolare di Sergio, dal suo stile personale di spiritualità. La si potrebbe definire come la forma russa della grande corrente mistica ortodossa, nota col nome di esicasmo.
San Sergio appartenne al secolo di San Gregorio Palamas, il cui insegnamento sulla luce increata del monte Tabor consentirono la definizione dogmatica delle energie divine che santificano l’uomo.
La vita di San Sergio fu interamente votata alla Santa Trinità del Vecchio Testamento; oggetto della sua contemplazione, fonte della sua vita interiore così come del suo servizio tra gli uomini. Nella sua persona egli realizzò “la pace che va oltre ogni intelligenza” e fece risplendere quella pace attorno a lui.
Per facilitare l’unità del paese, riconciliò i principi feudali nemici; benedisse il principe di Mosca Dimitri nella sua lotta contro i Tartari.
Alla sua morte divenne, per il popolo cristiano di Russia, il protettore celeste della patria. San Sergio morì il 25 settembre 1392. Lasciava nella Chiesa Russa un gran numero di discepoli.
Andrea Rublëv, il più giovane dei suoi discepoli, sicuramente lo conobbe personalmente. Comunque, visse costantemente in contatto coi discepoli diretti del grande santo, di coloro che continuavano la sua opera e mettevano in pratica i suoi insegnamenti sino all’estremo: l’umiltà, l’amore, il disinteresse e la solitudine contemplativa, orientata alla purificazione dello spirito e all’unione con Dio nella preghiera continua.
Nelle fonti più antiche, Rublëv e Daniele, l’amico suo più grande di lui di qualche anno, suo “compagno di penitenza”, soprannominato “il Negro” con il quale collaborava, vengono caratterizzati come “uomini perfetti in virtù”. Rublev è descritto come un uomo molto umile, “pieno di gioia e di luminosità”. Tutta la sua arte, improntata all’immagine di questa umiltà, è piena di gioia e di luminosità.
Le cronache del tempo citano per la prima volta il nome di Rublëv nel 1405, quando, a Mosca, fu decorata la cattedrale dell’Annunciazione al Cremlino. Vi partecipa insieme ad una squadra di pittori, diretta dal celebre maestro iconografo Teofane il Greco. Malgrado la grande influenza di quest’ultimo sull’arte russa dell’epoca e la sua meritata ed incontestata autorità, tuttavia, Rublëv non seguì l’esempio di Teofane; la sua via fu sempre ispirata dall’ambiente spirituale di San Sergio.
Al contrario di Teofane, il cui colorito appare come “attenuato”, i colori di Rublëv sono luminosi, gioiosi e chiari. Ha più leggerezza, scioltezza, calore. Nelle sue opere l’accento non poggia sul pesante travaglio della vita ascetica, bensì sulla gioia più assoluta. Si dice che il grande maestro piangesse lacrime di gioia nello scrivere, nel dipingere un’icona.
Nei giorni festivi, Rublëv e il suo amico Daniele si sedevano davanti alle venerabili e divine icone e, guardandole senza distrarsi, innalzavano costantemente lo spirito ed il pensiero verso “la luce immateriale e divina”. Quella luce, alla cui contemplazione si abbandonava, Rublëv seppe manifestarla e trasmetterla nella sua arte, in modo particolare e con forza incomparabile nell’icona della Trinità del Vecchio Testamento.
Nel 1408, a Vladimir, insieme con l’amico Daniele, Rublëv decorò la cattedrale dell’Assunzione. Poco dopo il 1422 l’egumeno Nikon lo chiama al monastero della Trinità di San Sergio per decorare la nuova chiesa della Trinità, costruita al posto della chiesa originaria che era stata bruciata dai Tartari. Intorno all’inizio del XV secolo, partecipò alla costruzione della chiesa della Trasfigurazione.
Lì morì il 9 gennaio 1430. Non si conosce più il luogo dove fu sepolto: la sua tomba esisteva ancora nel XVIII secolo, poi scomparve.
Nell’arte liturgica della Chiesa ortodossa, l’opera di Rublëv manifesta quell’unità di amore all’immagine divina la cui espressione artistica suprema resta la celebre icona della Santa Trinità. Rublëv la dipinse proprio in onore di san Sergio di Radonez e per la sua Chiesa.
In un inventario di pitture della Lavra della Trinità di San Sergio, nel 1920, Olsoufiev descriveva così questa icona: “Si può dire che essa non ha uguali, per la sintesi perfetta di una concezione teologica sublime col simbolismo artistico che l’esprime attraverso la struttura dei ritmi e delle linee, dei colori e di una plasticità che va al di là. Questa icona è ontologica per eccellenza, non solo nella sua concezione, ma anche in tutti i suoi dettagli”.
E Pavel Florenskij scrisse: “Esiste la Trinità di Rublev, perciò Dio è”
La profondità spirituale della visione di sant’Andrej trovò la sua espressione attraverso la grazia di un dono artistico eccezionale. L’Icona della Trinità, dove culmina la sua opera, rimane, sia dal punto di vista artistico che teologico, l’apice dell’arte ortodossa.