Classificazione: Icona da compagnia
Russia: Scuole del Nord
Periodo: Seconda metà XIX secolo – Riza in argento dorato inizio XX secolo
Dimensione: cm 26.5 x 22
Descrizione:
La rappresentazione russa più frequente del Figlio di Dio è la figura del Cristo Pantocratore, che segue fedelmente un’antica tradizione bizantina.
Dalle prime raffigurazioni, spesso riprodotte come mosaico, o affrescate, nelle cupole di molte chiese, nelle quali Cristo veniva rappresentato con lo sguardo severo, caratterizzato da un’espressione austera ed imperturbabile, via via l’espressione del Volto di Cristo si ammorbidisce ed il ‘Salvatore, Giudice Supremo’, diventa compassionevole e indulgente. Raffigurato a mezzo busto, Cristo è ‘Colui che da vita all’essere’, il signore della vita, l’Onnipotente, il ‘Rex Mundi’, che con la mano sinistra regge il Vangelo aperto, simbolo della Sua legge, dove in paleoslavo, è scritto: ‘..Venite a me voi tutti..’, mentre la mano destra è levata in atto di benedizione, con le dita disposte come usano i Sacerdoti bizantini: la punta del pollice tocca quella dell’anulare, facendo risaltare le tre dita che indicano le Tre Persone della SS Trinità e le due dita come le Due Nature, divina e Umana, di Gesù Cristo.
Nel nimbo, circolare, nei bracci della croce si leggono le tre lettere greche che significano il nome sacro di Dio, ‘Colui che è’.
Il Cristo è “il più bello dei figli degli uomini, la grazia è diffusa sulle sue labbra” (Salmo 44).
Qui, la fermezza dell’espressione, lo sguardo fisso, quasi concentrato nella contemplazione di una luce senza fine, si combinano con una certa fragilità, con una fluidità dei lineamenti, con una trasparenza del tocco pittorico.
Questa bellezza non è inaccessibile ma quasi familiare.
Nella tradizione della Chiesa, il termine Pantocràtor letteralmente significa: “Colui che contiene tutte le cose” o anche “Dominatore su tutto”.
Il riferimento è, naturalmente, a Cristo, Figlio unigenito del Padre, la cui immagine, raffigurata nel canone codificato nell’Oriente bizantino, sin dai tempi più risalenti, a mezzo busto, vuole riproporre, in qualche modo pure sotto il profilo simbolico, l’umile storia dell’uomo di Nazareth e la sua regalità fattasi umile fino ad assumere su di sé la carne per dare compimento alla promessa della Salvezza.
La tunica rossa, secondo una consolidata anche se non univoca chiave interpretativa, indica la regalità di Cristo (divinità), mentre il mantello blu la sua umanità.
Il volto, dipinto frontalmente come tutti i volti delle icone, che non sono quasi mai raffigurati di profilo se non nell’eventualità di personaggi secondari inseriti in scene più complesse, sta a significare che la Parola di Dio (che è Cristo stesso) deve essere accolta “faccia a faccia con tutti i nostri sensi: gli orecchi, sempre visibili, ascoltano la Parola di Dio; il naso ne sente il profumo; la bocca parla lodandola; le mani indicano anche la bellezza, bontà e verità e gli occhi contemplano il suo mistero” (Guillem Ramos Poquì, Come si dipinge un’icona – Ed. Piemme 1991).
L’oro nelle icone rappresenta la luce pura, il paradiso, e separa il mondo sacro (l’icona è luogo della santità di Dio), in cui già dimorano i personaggi raffigurati, dal mondo profano, che per esse è condotto ad affacciarsi sul Mistero.
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Cristo a mezzobusto ha la mano destra benedicente alla maniera slava, mentre con la sinistra regge il Vangelo aperto.
Lo sguardo non è severo come era di norma per le icone con questo tipo di raffigurazione, ma dolce e compassionevole e rivolto ai fedeli.
I capelli folti e raccolti incorniciano il volto e, intrecciandosi dolcemente, ricadono su entrambe le spalle, il collo gonfio esprime la pienezza del soffio dello spirito
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