Ma cosa sono le Icone e cosa ci raccontano le immagini che le rappresentano?
Come scriveva Evgenij Trubeckoj, “l’Icona non è un ritratto, bensì un prototipo della futura umanità trasfigurata”.
I canoni iconografici tra passato e presente
Molti studiosi si sforzano di raccontare la storia di queste misteriose pitture, dalle tavole preiconoclaste conservate a Santa Caterina del Sinai fino a quelle del mondo russo e balcanico, del mondo bizantino e dell’oriente cristiano, enunciandone gli stili e le regole, le funzioni e le tipologie; i cosiddetti ‘canoni’. Conoscere il loro passato ci permette di capire meglio la loro funzione nel mondo presente e forse di quello futuro.
“Esiste la Trinità di Rublev, dunque Dio esiste” – nel primo Novecento, questo era un pensiero di Pavel Florenskij. “l’Icona è sempre più grande di se stessa, se è una visione celeste, o è meno di se stessa, se non apre il mondo soprannaturale alla coscienza” di chi la guarda.
Il suo scopo è aprirla al mondo trascendente e se questo non si avvera nella sensibilità di chi guarda, l’Icona stessa resterà solo “una semplice sensazione dell’oltre-mondo, come alghe ancora odorose di iodio che testimoniano il mare”.
Secondo Pavel Florenskij “il visibile e l’invisibile sono in contatto, ma la differenza fra loro è così grande che non può non nascere il problema del confine”. La linea di confine è la nostra ‘anima’, in cui “la vita nel visibile si alterna alla vita nell’invisibile” in una serie di stati. Il più comune è il sogno, il più raro l’estasi mistica, quando “l’anima si inebria del visibile e, perdendolo di vista, si estasia”
La controversia sulla iconoclastia, non si era dunque conclusa con una riabilitazione teologica della vecchia idea di immagine sacra, ma con la minuziosa codificazione di un’immagine completamente diversa. Tuttavia questo nuovo metodo di raffigurare prototipi celesti, al confine tra il visibile e l’invisibile, dimostra che i due mondi possono venire a contatto, stabilito dalla teologia, affermato nella cultura bizantina, non fu compreso dall’occidente, almeno fino al XX secolo.
Nel 1904, a Mosca, venne restaurata ed esposta al pubblico la famosa ‘Trinità’ di Andrej Rublev, ‘l’Icona di tutte le Icone’, così come l’aveva definita il Concilio dei cento capitoli convocato nel XVII secolo da Ivan il Terribile.
Era uno dipinto particolare, che raffigurava i tre Angeli nell’episodio biblico quando fecero visita ad Abramo e furono suoi ospiti. Nella raffigurazione nessuno dei tre mangiava e non erano presenti Abramo e Sara. Vi erano tre figure celesti di straordinaria bellezza e identiche far loro. I contorni delle loro posture formavano un cerchio che catturava lo sguardo dello spettatore, tanto da impedirgli di soffermarsi sui personaggi e veniva così trasportato all’interno della rappresentazione geometrica che diventava il vero soggetto della raffigurazione. Quel cerchio invisibile, rappresentava, e rappresenta tuttora l’impenetrabilità della conoscenza divina, ossia la consustanzialità delle tre persone della Trinità, definita dalla teologia dei primi concili bizantini un’unica sostanza in tre ipòstasi.
Una pura astrazione, forse la più difficile fra le astrazioni teologiche. Proprio per questo Rublev l’aveva dipinta. Il suo era un quadro astratto a tutti gli effetti.
La data del 1904, vede il restauro della Trinità di Rublev ed è una data importante, una sorta di spartiacque fra ciò che era e ciò che sarà il mondo dell’arte.
Da una parte segna la riscoperta dell’Icona nell’estetica moderna, d’altro lato la nascita dell’arte astratta.
All’inizio del Novecento le Icone diventano l’ossessione dell’intelligencija russa.
Nel 1911, quando Henri Matisse andò a Mosca fu letteralmente sconvolto dalla loro antichissima arte iconografica. Le definì il ‘miglior patrimonio’ dell’arte medievale, invitò solennemente gli artisti europei a ‘cercare i propri modelli nei pittori di Icone piuttosto che nei maestri italiani’. Quando tornò in Francia ne parlò agli amici, tra cui Picasso. Se Matisse fu il primo occidentale a incontrare l’arte iconografica e che, in seguito, influenzò la sua pittura, nel frattempo le Avanguardie russe imperniarono le loro ricerche e sperimentazioni non solo sulla sua estetica, ma sulla teoria stessa dell’immagine che lasciò Bisanzio.
Spunti tratti dall’iconografia furono evidenti nei costruttivisti e nei suprematisti, o in artisti come Vladimir Tatlin e Natal’ja Gontcharova, che iniziarono la loro carriera come iconografi.
Anche nella collezione privata di Ostruchov, iniziata nel 1902, le opere della tradizione bizantina erano affiancate ad opere contemporanee.
Nello stesso periodo si collocava il lavoro rivoluzionario di Vassili Kandinskij, che creò l’astrattismo a partire dall’esperienza delle Sacre Icone. L’ispirazione bizantina di Kandinskij si legge nello ‘spirituale nell’arte’ ed anche nei suoi ‘Sguardi sul passato’.
Come ha scritto Gilbert Dagron, l’arte di Kandinskij, “che definiamo ‘astratta’ perché ricusa le nozioni di natura e di oggetto a favore di un’altra visibilità, ha una parentela sicura con il tipo di rappresentazione iconica che l’ortodossia ha consacrato nella sfera religiosa, ma che l’artista moderno utilizza a fini differenti”.
Il discorso iniziato a Bisanzio nell’VIII secolo si compie dopo una lunga e invisibile parabola solo nel XX secolo attraverso la riflessione filosofica russa che dà fondamento all’astrattismo. L’arte contemporanea acquista le sue ragioni e trae il suo fine dall’’iconoclastia latente’ dell’Icona, affrancandosi dalla dimensione religiosa e la sua dichiarazione di guerra alla moltiplicazione degli ‘idoli’, segnata, soprattutto, dopo l’affermarsi della fotografia, dalla crescente diffusione di ‘false immagini’ – mediatiche, pubblicitarie, comunque mercificate e persino ‘pornografiche’ – nella società popolare emersa dal Secolo Breve e dalle sue rivoluzioni.
Andy Warhol, figlio di emigrati ruteni, si è ispirato, per esplicita sua ammissione all’Icona russa, il metodo della ripetizione, l’adozione del multiplo per giungere allo svuotamento dell’immagine-idolo ( esempio le bottiglie di Coca Cola).
Yves Klein opera la cancellazione totale della figura in tavole che, a pieno titolo, possiamo definire icone, dove i fondi-oro diventano soggetto autonomo e l’astratta semantica bizantina del colore, già indispensabile per leggere la Trinità di Rublev, trionfa evidente: il famoso ‘blu Klein’ è eminentemente, inconfondibilmente bizantino.
Immagine in evidenza: ‘Trinità del Vecchio Testamento’ di Andrej Rublev 1404 (?)
‘The Coca-Cola Bottle An American Icon at 100’ di Andy Warhol