Classificazione: Icona da collezione
Russia: Scuola di Palech
Periodo: Metà XVIII secolo
Dimensione: cm 32.8 x 27
Benché incentrata di norma anche sulla raffigurazione dell’uscita di Cristo dal sepolcro, la tipologia bizantina dell’icona della Resurrezione intende mostrare, in primo luogo, Cristo che libera dall’Ade uomini e donne, tra cui si riconoscono spesso, per il nimbo che circonda il loro volto, i patriarchi dell’Antico Testamento collocati alla sua destra. Prendendoli per mano, il Salvatore li fa uscire dalle profondità della terra, mentre calpesta le porte infernali che giacciono scardinate vicino a serrature infrante e catene spezzate.
Se la si vuole inserire in una cronologia storica, la scena si svolge mentre Cristo è ancora morto, prima della sua resurrezione, proprio nel momento in cui per mezzo della propria morte vince la Morte.
L’Icona della discesa di Cristo agli inferi rappresenta la vittoria di Cristo sulla morte: le porte degli Inferi sono rappresentate fracassate sotto ai suoi piedi, e il Salvatore trae Adamo ed Eva dalla tomba.
La presente icona e quella delle donne mirofore al sepolcro sono le uniche due composizioni iconografiche riguardanti la Risurrezione di Gesù e le due uniche icone della Solennità della Pasqua.
Ciò perché l’iconografia segue fedelmente il silenzio dei racconti evangelici con il più grande rispetto del mistero.
La liberazione dei prigionieri degli Inferi, e in primo luogo il progenitore Adamo a cui Gesù tende la mano mentre Eva si prostra ai suoi piedi, è in parte un ricordo della Prima Lettera di Pietro, dove l’apostolo dice che Cristo, «messo a morte nella carne ma vivificato nello spirito, in esso andò a portare l’annuncio anche agli spiriti in prigione che un tempo erano stati disobbedienti» (3, 18-19).
Venne allora una voce che diceva: «Aprite le porte!» udita questa voce per la seconda volta, l’Ade rispose come se non lo conoscesse dicendo: «Chi è questo re della gloria?» gli angeli del padrone risposero: «Un Signore forte e potente, un Signore potente in guerra!».
A queste parole, le porte bronzee furono subito infrante e ridotte a pezzi, le sbarre di ferro polverizzate, e tutti i morti, legati in catene, furono liberati e noi con essi.
Ed entrò, come un uomo, il Re della Gloria e furono illuminate tutte le tenebre dell’Ade.
L’apostolo aggiunge poco dopo che «è stata annunciata la buona novella anche ai morti, affinché, giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano secondo Dio nello Spirito» (4, 6). Ma, come è stato notato, la fonte letteraria più diretta di questa icona è forse un passo di un apocrifo del V secolo noto come Vangelo di Nicodemo (21, 3):
Secondo la tradizione iconografica già fissata a Bisanzio, gli inferi nelle icone sono rappresentati con una simbolica spaccatura nella terra, dietro di cui si aprono misteriosi e invisibili abissi.
È dato poco risalto allo spazio degli inferi, esso è già stato calpestato e distrutto.
La figura di Cristo è impetuosa e dinamica, simboleggia la distruttiva catastrofe che è piombata negli inferi.
La figura di Cristo è racchiusa in una mandorla circolare, questa, simbolizza la “gloria”, lo splendore della “grazia che porta la luce”.
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L’icona che si palesa attraverso una composizione stilistica di assoluto equilibrio e raffinata eleganza, tipici della Scuola di Palek, intende offrire all’osservatore una sintesi teologica riguardante appunto il mistero della Resurrezione di Gesù dai morti, il nucleo della fede e la ragione fondamentale della speranza cristiana.
Intento ad aiutare le anime ad uscire dall’inferno, la figura del Cristo risulta essere solenne, le vesti sontuose e ieratiche esprimono la sua dignità di sommo ed eterno sacerdote.
Esse hanno il colore della luce, colore dell’eternità e della totalità, al pari dell’oro che costituisce l’elemento base di tutte le icone.
Nell’angolo sinistro inferiore una bestia rossa con le fauci aperte, dalle quali spuntano grandi denti bianchi, è la rappresentazione iconografica dell’inferno, che sconfitto lascia uscire le anime che vi conteneva.