Appunti di un’amante dell’arte delle Antiche Icone Russe
“…Riterrei una grande conquista se il mio modesto lavoro contribuisse anche solo a scalfire un vecchio pregiudizio tuttora esistente in Italia nei riguardi delle icone…
Qui da noi c’è spesso la tendenza a ritenerle ripetitive, monotone oppure tristi. Si sa poco o niente della Russia, anche per l’isolamento in cui è sempre vissuta; si sa poco delle sue sofferenze e delle sue tradizioni, non si tiene alcun conto della distanza che separa la pittura dall’iconografia e degli scopi diversi che queste forme d’arte si pongono…
Nell’arte sacra russa il ripetersi dei medesimi soggetti attraverso i secoli e l’aderenza ai canoni potrà trarre in inganno e creare, in alcuni, degli equivoci. Inoltre il profondo spiritualismo dell’icona russa non è, per chiunque, di facile comprensione.
I volti volutamente ascetici possono, ad un osservatore superficiale o educato alla pittura realistica, apparire privi di vita, le figure possono sembrare immobili. Ma è proprio tale apparente immobilità fisica, in contrasto con la mobilità e profondità dello sguardo, ad esprimere l’intensità dello spirito, lo sforzo di un’ascesa spirituale, il predominio dell’anima sul corpo che viene ritenuto soltanto un involucro…
L’oro, per esempio, più che un colore, è pura luce, è il colore più amato e spesso le icone sono dipinte su fondi dorati…Il dolore nelle icone non viene mai urlato, ma trattenuto dignitosamente e solennemente…Le passioni sono rarefatte…
L’arte bizantina è così perfetta nell’espremire le verità divine che l’Oriente cristiano non sente l’esigenza di mutare alcunché. È stata finalmente raggiunta l’indipendenza dal reale, ci si è finalmente liberati dalla prigione del mondo naturale, si è trovata la chiave per esprimere efficacemente l’ultraterreno, il soprannaturale. Perché cambiare? Avviene un arrestarsi voluto, consapevole, non frutto di fantasia, ma conseguenza della convinzione di aver trovato la maniera giusta per esprimere il mistero dell’invisibile. L’invisibile è immutabile e per esprimerlo non bisogna desacralizzarlo ed in un certo senso “dissacrarlo”; non bisogna fare la “caricatura del sacro” come diceva lo storico dell’arte Fedor Buslaev. Bisogna allontanarsi dall’umano. Anche gli eventi devono essere raffigurati nel loro significato trascendente, esprimere soprattutto l’idea, l’essenza del l’avvenimento più che l’avvenimento stesso.
L’Occidente, per sua stessa natura, non accetta ciò che considera o interpreta come una forma di staticità e di immobilismo e tende con inquietudine verso nuove idee e nuovi stili. Cosicché, mentre lo stile russo rimane per molti secoli invariato, in Occidente si susseguono il romanico, il gotico, il Rinascimento, il barocco, il neoclassicismo.
L’Occidente tende ad illustrare l’agiografia, l’Oriente a rivederla. Avviene da noi un graduale allontanamento dall’arte della Chiesa d’Oriente ed una sempre maggior “desacralizzazione” dell’arte sacra.
In Italia, già Cimabue, Giotto e Duccio iniziano questo allontanamento pur conservando ancora tracce (soprattutto Cimabue e Duccio) dell’influenza dell’arte bizantina. Giotto muta radicalmente la concezione della pittura a Firenze, mentre a Siena la rottura con la primitiva tradizione bizantina avviene più gradualmente.”
<da: “L’icona e l’anima russa” – Duska Avrese>
(continua – 2)